Le femministe contro una donna (Giorgia)

Scritto il 25/11/2025
da Vittorio Feltri

Gentile direttore Feltri, mi scusi lo sfogo, ma io mi chiedo se siamo ancora un Paese normale. A Bologna la polizia viene aggredita, otto agenti finiscono in pronto soccorso, la città devastata. A Venezia gli ambientalisti colorano il canale per sensibilizzare. E poi, come se non bastasse, a Roma le femministe sfilano con cartelli che dicono Meno femminicidi, più melonicidi. Ma le sembrano metodi legittimi di una protesta? È ancora possibile distinguere la libertà di espressione dal delirio collettivo?

Fabio Stilo

Caro Fabio, la risposta breve sarebbe: no, non sono metodi normali, né legittimi, né intelligenti. Ma visto che siamo diventati un Paese in cui bisogna spiegare anche l'ovvio, mi tocca allargare il discorso.

Partiamo da Bologna. La città è stata trasformata in un campo di battaglia da un'orda di incappucciati che si definiscono «pacifisti». Il risultato? Non otto ma sedici poliziotti feriti, vetrine sfondate, fuochi d'artificio lanciati in faccia agli agenti, centinaia di migliaia di euro di danni. E il sindaco che fa? Invece di condannare i violenti, accusa la polizia. Una scena da teatro dell'assurdo, ma purtroppo è la realtà: chi difende lo Stato viene criminalizzato; chi lo devasta viene vezzeggiato. Veniamo a Venezia.

Gli ambientalisti, che ormai sono diventati più fanatici dei tifosi ultrà, decidono di colorare le acque dei canali. Uno pensa: «Perché? A cosa serve?». Risposta: a niente. È solo l'ennesimo atto vandalico mascherato da buona intenzione. Gli stessi soggetti, ricordiamolo, che imbrattano monumenti, palazzi storici, opere d'arte in nome della «coscienza ecologica». A me pare più inciviltà che ecologismo. L'ambiente si difende facendo cose utili, non giocando a fare i Savonarola con il secchiello di vernice.

E poi, dulcis in fundo, arrivano le femministe militanti: quelle che tu citi con lo slogan «Meno femminicidi, più melonicidi». Una genialata, vero?

Per denunciare la violenza contro le donne, incitano alla violenza contro una donna. E va anche detta una cosa: non una donna qualsiasi, ma una donna di destra, quindi sacrificabile, secondo loro, sull'altare della «giustizia sociale».

Questa non è protesta, è imbecillità ideologica. E l'imbecillità, si sa, è molto più pericolosa della cattiveria.

Qui non c'entra la destra o la sinistra. C'entra che abbiamo smesso di difendere la legge e il buonsenso. Manifestare è un diritto sacrosanto, garantito dalla Costituzione. Ma picchiare agenti, devastare città, insozzare monumenti o invocare omicidi politici non rientra nella libertà di espressione: rientra nella patologia sociale. La verità è che abbiamo confuso la libertà con la licenza.

E abbiamo smesso di pretendere responsabilità da chi si comporta come un delinquente. Io sto con la polizia, con chi lavora per strada mentre certi furbi giocano alla rivoluzione col cellulare in mano. E sto anche con la civiltà, che è fatta di regole, non di deliri coreografici.

Caro Fabio, mi chiedi se tutto questo abbia un senso. Te lo dico senza giri di parole: no, non ce l'ha. Ma ormai viviamo in tempi in cui chi protesta non vuole cambiare il mondo. Vuole mettersi in mostra. E la stupidità esibita è la forma più aggressiva di violenza sociale.