L'isolazionismo "soft" del tycoon iperattivo. L'America torna leader

Scritto il 14/10/2025
da Francesco Giubilei

È il vero protagonista dell'intesa. Ha imposto la sua visione e convinto gli altri leader riottosi

Il principale vincitore della pace in Medioriente ha un nome e un cognome: Donald J. Trump. Il risultato ottenuto dal presidente degli Stati Uniti ma anche le trattative e le modalità con cui si è arrivati alla fine della guerra a Gaza sono destinate a rimanere nei libri di storia. Già nel suo primo mandato da presidente Trump aveva improntato la propria politica estera sul mantenimento della pace evitando di iniziare nuove guerre con una linea molto diversa dal partito Repubblicano guidato da George W. Bush che aveva avviato la guerra in Irak e Afghanistan. Senza dubbio era un periodo storico diverso successivo all'11 settembre ma, a essere differente, era anche il Dna del partito Repubblicano a trazione neo-con e perciò più interventista in politica estera. La linea Maga (Make America Great Again) è invece caratterizzata da quello che potremmo definire "isolazionismo temperato" reso del tutto evidente dalle modalità con cui ha agito Trump per arrivare all'accordo tra Israele e Hamas.

Non un isolazionismo tradizionale per cui gli Stati Uniti si interessano solo alle questioni di politica interna, bensì un attivismo in politica estera basato sulla minaccia ma non sull'effettivo utilizzo dell'hard power. Da qui l'annuncio dei giorni scorsi "non invieremo soldati americani a Gaza" perché, nella visione trumpiana, l'uso di truppe statunitensi rappresenta un enorme costo economico e un rischio in termini di vite umane. Proprio l'aspetto economico è l'altro elemento da tenere in considerazione per comprendere la politica estera trumpiana, non bisogna mai dimenticare che, prima di essere un politico, Trump è un imprenditore e la sua forma mentis rimane quella. Nella pace e nella stabilizzazione del Medioriente vede una grande opportunità per le aziende americane sia con la ricostruzione di Gaza sia con la ripresa dei patti di Abramo. Non a caso il presidente americano lo scorso maggio aveva fatto una visita in Medioriente annunciando importanti accordi economici con i Paesi arabi che hanno un ruolo centrale come spiega Mark Leonard, direttore dell'European Council on Foreign Relations: "Senza Trump sarebbe stato impossibile mettere pressione a Israele per arrivare alla pace ma senza il mondo arabo e il supporto europeo sarà difficile mantenere una pace duratura".

Ci sono però alcuni momenti chiave negli ultimi mesi che hanno permesso di arrivare alla storica giornata di ieri in cui ha giocato un ruolo anche l'Italia. Lo scorso 24 luglio infatti, in uno yacht al largo della Costa Smeralda, è avvenuto un incontro tra il ministro israeliano degli Affari strategici, Ron Dermer, e il primo ministro del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman Al-Thani mediato dall'inviato della Casa Bianca Steve Witkoff. Come spiegano a Il Giornale alcune fonti israeliane "in quell'occasione l'accordo sembrava raggiunto, poi d'improvviso Hamas ha raddoppiato le proprie richieste facendo saltare il banco".

"Gli americani si sono sentiti presi in giro anche dal Qatar che aveva il ruolo di convincere Hamas. Non a caso a inizio settembre è arrivato l'attacco di Israele al Qatar a cui Trump aveva dato la luce verde". Da lì in poi le trattative hanno accelerato fino ad arrivare alla visita di Netanyahu alla Casa Bianca, alla scena in cui Trump gli ha detto di chiamare il Qatar per scusarsi, infine all'accordo siglato ieri. Un altro momento chiave è stato l'attacco di Israele all'Iran e l'utilizzo dei bombardieri americani per colpire i siti nucleari della Repubblica Islamica, un'azione mirata a cui è seguito un accordo mediato da Trump ma il segnale è stato chiarissimo: possiamo colpirvi come e quando vogliamo. Un'immagine di debolezza del principale sostenitore del Qatar che ha contribuito ad accelerare i negoziati. Un vero capolavoro politico e diplomatico.