"L'umanità non vive che in due maniere, attraverso il brigantaggio o il lavoro". L'affermazione è di un economista francese dell'Ottocento, Charles Dunoyer, e risale esattamente a due secoli fa. Da allora, in molti si sono soffermati su questa dicotomia, rielaborandola, per sostenere un fatto abbastanza semplice: e cioè che per ottenere la ricchezza o si usano i "mezzi economici", lo scambio libero e volontario tra le parti, oppure i "mezzi politici", ovvero la violenza e la rapina. Tale concezione è fatta propria anche da Javier Milei, concepito come un pericoloso estremista. Ma estremista in che senso? Estremista perché esalta la violenza? Perché fa l'apologia del furto e del crimine? Perché mette a repentaglio la convivenza civile degli uomini? No, in quanto si tratta di un estremista per la libertà e per la proprietà individuale. E allora, colto questo, si capiscono tutta una serie di cose. A far paura, più che la retorica e i comportamenti un po' sopra le righe di quello che viene chiamato appunto "El loco", è il suo parlare chiaro e così smascherare la realtà politica costruita in Argentina ma anche nell'intero mondo occidentale nel corso del Novecento: una realtà in cui la macchina statale è andata espandendosi in un modo senza precedenti e a costo, precisamente, della libertà delle persone.
Che cos'è l'Argentina che Milei vuole cambiare? Un Paese che potrebbe essere ricco e lo era effettivamente, prima che il populista per eccellenza intraprese la via collettivista ma è ingabbiato nella trappola peronista: una gabbia di matrice corporativista, sindacalista, statalista. È dunque logicamente insostenibile affermare che l'attuale Presidente argentino sia un pericolo, se guardiamo alla storia del Paese da quando Juan Domingo Perón ha governato. Una storia fatta di fallimenti economici a causa dell'interventismo pubblico (che tra l'altro produce la tassa occulta più iniqua di tutte: l'inflazione), non a causa della inesistente libertà economica. Dunque perché lo si attacca? Esattamente perché cerca di smascherare la logica statalista che divide la società in "pagatori di tasse" e "consumatori di tasse": i primi sono coloro che sostengono il sistema economico, i contribuenti, mentre i secondi vivono delle tasse estratte dallo Stato dai primi. Un meccanismo che impoverisce la società poiché crea un fitto apparato colluso con il dispositivo statale e che vive sulle spalle di chi produce e di chi vuole fare da sé, senza assistenza. In sintesi, Milei evidenza la logica dello sfruttamento che sta dietro alla macchina statalista. Il problema è che si è ormai abbarbicata una concezione ideologica della democrazia, e soprattutto nel ceto intellettuale, tale per cui, caduto il Muro di Berlino e le speranze nel social-comunismo, essa deve proteggere la "giustizia sociale". Espressione in realtà vuota che tradisce però evidenti intenti egualitaristici. Che fortificano il potere politico, e chi vi si affida ciecamente, in nome della paura per la libertà.

