La bandiera della Casa Bianca è stata issata a mezz'asta, ma senza essere preceduta dalla tradizionale proclamazione presidenziale. Dick Cheney, scomparso a 84 anni, è stato omaggiato così, a metà, da un presidente, Donald Trump, col quale si scontrava da anni e al quale rinfacciava di avere trasformato (in peggio) a sua immagine e somiglianza il Partito repubblicano. Così la pensava anche la figlia Liz, sua erede politica, ex deputata repubblicana del Wyoming, che aveva voltato le spalle al tycoon dopo l'assalto a Capitol Hill. Entrambi, alle scorse presidenziali, avevano fatto campagna per Kamala Harris. Al silenzio di Trump ha fatto da contraltare il ricordo di George W. Bush. "Una perdita per la nazione" ha detto l'ex presidente del quale Cheney fu il numero due per otto anni. "Il più potente vicepresidente della storia moderna" è il titolo più ripetuto dai media americani. "Fu l'architetto della risposta americana all'11 settembre e dell'invasione dell'Iraq". Questi i due capitoli più pesanti della sua legacy, fatta di una carriera politica durata decenni, iniziata al Congresso e culminata come "vice", dal titolo del film in cui è impersonato da Christian Bale. Bush figlio, che stava per lanciare la sua campagna, lo chiamò per avere consiglio su chi scegliere come running mate. Finì per scegliere lui.
La legacy, appunto. L'invasione dell'Afghanistan, che da operazione militare punitiva si trasformò nella più lunga guerra combattuta dall'America, conclusasi col ritorno al potere dei Talebani. E l'invasione dell'Iraq, promossa e giustificata sulla base di informazioni di intelligence prefabbricate - le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, mai trovate - costata agli Stati Uniti 4.500 caduti e 2 trilioni di dollari, senza contare le centinaia di migliaia di vite irachene, la distruzione del Paese e le ondate di terrorismo che hanno colpito l'Occidente negli anni a seguire. Dietro a entrambe queste guerre e al loro strascico di abusi - le extraordinary rendition, Abu Graib, il nodo ancora irrisolto di Guantanamo, ecc. - c'era la spinta di Cheney, l'uomo più ascoltato da Bush Jr, soprattutto nel primo mandato, e del quale aveva servito anche il padre, George H.W. Bush, da segretario alla Difesa durante la prima Guerra del Golfo del 1990. Un ruolo che gli valse il soprannome di Darth Vader della Casa Bianca e i sospetti di inconfessabili collusioni con l'industria petrolifera e quella dei contractor - dal 1995 al 2000 era stato amministratore delegato di Halliburton. Al timone della Casa Bianca, il giorno dell'attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono c'era proprio lui. Il presidente stava visitando una scuola in Florida e fu poi trasferito in località segrete. Fu Cheney ad attivare le misure di difesa in tutto il Paese, a mettere in stato di allerta le forze americane in tutto il mondo e a ordinare l'evacuazione del Campidoglio e il trasferimento dei leader governativi in luoghi sicuri. Dal bunker della Casa Bianca sotto la East Wing - ora demolita per fare spazio al Salone delle Feste di Trump - mantenne contatti continui con Bush e altri funzionari, in un momento di panico nazionale, mai sperimentato dai tempi di Pearl Harbor. Subito dopo, divenne anche lo stratega dietro all'espansione del potere presidenziale nella nuova era della Guerra al terrorismo: sua la mente e la manovra congressuale per la rapida approvazione del Patriot Act. Secondo una dichiarazione della famiglia, la causa della morte è stata una polmonite aggravata dai problemi cardiaci di cui aveva sofferto per gran parte della vita. Dal 2012 viveva con un cuore trapiantato.

