AGI - Un ricovero su quattro per cause cardiovascolari potrebbe essere evitato con una gestione territoriale più efficace e con una maggiore continuità assistenziale dopo la fase acuta. Considerando che i ricoveri ogni anno sono circa 1 milione, si parla di 250mila ricoveri in meno.
In questo scenario il Gise, la società scientifica di riferimento per la cardiologia interventistica, mette a disposizione una proposta basata su tre linee di azione. La prima è quella di consolidare e aggiornare le reti tempo-dipendenti per le patologie acute, oggi decisive nel ridurre mortalità e disabilità. La seconda è quella di garantire continuità assistenziale e monitoraggio nei pazienti trattati con procedure interventistiche, integrando telemedicina e follow-up strutturato. La terza linea di azione è utilizzare in modo sistematico i dati di esito e i registri nazionali per orientare risorse, organizzazione e investimenti sulle tecnologie davvero efficaci.
I costi e i risparmi
"Se calcoliamo un costo di circa 16 miliardi che vengono assorbiti ogni anno dai ricoveri, in particolare per scompenso cardiaco e fibrillazione atriale, si parla di 4 miliardi di risparmi reali", si legge nella nota del Gise. "Risulta quindi fondamentale migliorare l'organizzazione soprattutto nell'ambito dell'area interventistica, dove l'Italia dispone di punte di eccellenza, ma l'accesso tempestivo alle procedure salvavita continua a variare da Regione a Regione", aggiunge.
Il peso delle malattie cardiovascolari
Le malattie cardiovascolari restano inoltre la prima causa di morte in Italia, sono responsabili di oltre il 30% dei decessi, il loro peso economico è stimato in circa 20 miliardi di euro l'anno tra costi sanitari e perdita di produttività. Inoltre, nel nostro Paese il 41% della popolazione adulta (18-69 anni) presenta almeno tre fattori di rischio cardiovascolare.
Le reti interventistiche
"La cardiologia interventistica italiana ha dimostrato negli ultimi vent'anni che la tempestività salva la vita", spiega il presidente Gise Alfredo Marchese. "Le reti per lo Stemi, l'infarto miocardico acuto più grave, hanno ridotto mortalità e invalidità in larga parte del Paese. Ora serve un salto di qualità: serve estendere a tutto il territorio nazionale esperienze di rete anche sullo shock cardiogeno e altre emergenze cardiovascolari come quella della embolia polmonare o della dissezione aortica ancora limitate a poche realtà locali o qualche Regione d'Italia."
La gestione post-intervento
Marchese sottolinea inoltre che "la sopravvivenza dopo una procedura interventistica non dipende solo dalla qualità dell'atto tecnico, ma dalla gestione del dopo". E specifica: "Molti pazienti vengono ricoverati di nuovo entro pochi mesi, spesso per mancanza di un follow-up coordinato tra centro ospedaliero che esegue la procedura invasiva, cardiologia del territorio, medici di medicina generale, farmacie e Case di Comunità. Annoso è ancora il problema della scarsa aderenza terapeutica o insufficiente coordinamento tra i diversi livelli di assistenza. Chiediamo l'adozione di Pdta nazionali che includano telemonitoraggio, controlli programmati e criteri chiari per la gestione condivisa del rischio. Allo stesso tempo, mettiamo a disposizione la nostra esperienza sui registri di esito: misurare i risultati clinici permette di indirizzare in modo efficace l'uso delle tecnologie, migliorare la qualità delle cure e garantire maggiore equità ai cittadini".

