Sporcare col sospetto dell'amichettismo qualsiasi cosa, questa è la missione a cui Sigfrido Ranucci ha deciso di immolare se stesso e i suoi giornalisti. E così nel calderone delle presunte malefatte del governo, di Fratelli d'Italia e di Giorgia Meloni ci finisce anche Caivano, la periferia strappata alla camorra con massicci investimenti pubblici e privati, grazie ai fondi del Pnrr e del Viminale, con Esercito e forze dell'ordine a monitorare e vigilare. "Un appalto diretto è finito a un amico del premier e all'ex socio della mamma della Meloni". Ci sono reati? Inchieste? Solo fango, quello nel quale annegavano gli abitanti del Parco Verde tra spaccio e paranze, pedofilia e bambine che volavano dalle finestre. A Ranucci sfugge che così si fa un favore alla camorra, come ha l'ardire di ricordare il presidente dei senatori di Forza Italia Maurizio Gasparri.
"A Caivano non è cambiato quasi nulla", dice un oscuro politico locale grillino. Da tempo i mantra M5s a Report somigliano al Vangelo, che si parli di mafia o di pandemia Covid, d'altronde quando al povero Ranucci qualcuno ha messo una bomba davanti casa a Pomezia l'ex premier Giuseppe Conte si è intitolato il martirio del vicedirettore Rai lanciando un'Opa amichevole sulla trasmissione di Raitre, ieri ferma a un ambizioso 7,8% di share (dati Auditel) con quasi 1,5 milioni di spettatori.
Che a Caivano sia cambiato tutto lo dimostra la presenza l'anno scorso del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a sorpresa, alla messa con il prete eroe don Maurizio Patriciello (nella foto), a rappresentare lo Stato. Nelle vesti di "un signore distinto, ma non più distante", era stata la felice sintesi del don, che alla presidente della commissione Antimafia Chiara Colosimo aveva lanciato il pericolo di essere isolato, giacché la solita antimafia parolaia nel frattempo si era tenuta alla larga dalla Caivano ripulita dal centrodestra. Tanto che lo stesso sacerdote era stato minacciato, in Chiesa e sul sagrato, dalle famiglie che occupavano abusivamente alcune case, come fosse stato lui a cacciarle e non il prefetto Michele Di Bari, come se il ritorno della legalità fosse una colpa. "La comunità vive di leggi dello Stato e di legalità, non di soprusi o prepotenze", aveva detto il prefetto ringraziando il capo dello Stato.
Per far tornare la sinistra a Caivano è servito il bossolo di un proiettile piombato alla vigilia delle Regionali e consegnato brevi manu a don Patriciello da Vittorio de Luca, suocero di un boss del clan Ciccarelli che prima spadroneggiava nel quartiere alla periferia di Napoli trasformato dalla speculazione edilizia post-sisma in Irpina nel fortino di spaccio più grande d'Europa. La sera prima alcuni ragazzini avevano fatto tornare l'incubo paranze sparando all'impazzata con dei mitra su due scooter. Un chiaro segnale di debolezza, non serve rivendicare a suon di Ak-47 il controllo di un territorio che si controlla davvero. Basta vedere cosa succede in Calabria, dove la 'ndrangheta ha sepolto i mitra in giardino assieme ai contanti del narcotraffico.
L'amicizia con la Meloni è già costata al prete coraggio l'abiura di Roberto Saviano e un altro blitz "a tesi" di Report l'anno scorso, con due ore di intervista al sacerdote trasformate in uno spot di due minuti, con il solito sapiente copia-incolla, adombrando il sospetto che il modello Caivano sia un'operazione di maquillage, a cui si aggiunge oggi l'idea che tutto nasca per favorire gli amici degli amici. "Mi dispiace leggere le tue critiche - aveva detto Ranucci a don Patricello - è un po' come se noi di Report avessimo la presunzione di spiegarti come si fa messa". Col Vangelo secondo Conte, naturalmente.