Tenuta inizialmente fuori dalla porta, secondo il collaudato schema di Donald Trump che pretende di sciogliere i nodi in Ucraina parlandone a porte chiuse col solo aggressore russo, l'Europa sembra ora rientrata dalla finestra. Dopo aver fatto presente alla Casa Bianca come già in simili occasioni del recente passato che Ucraina ed Europa devono partecipare in prima persona alle discussioni che le riguardano direttamente, si è arrivati a parlare del tema concreto: quello del "piano di pace per l'Ucraina" che Trump cerca di imporre con le cattive a Volodymyr Zelensky. Ventotto punti talmente sbilanciati a favore della Russia che lo stesso segretario di Stato americano Marco Rubio aveva dovuto riconoscerne la schietta origine moscovita (salvo poi smentire goffamente se stesso).
Gli europei hanno compilato una controproposta in 24 punti, per poi acconciarsi a utilizzare come base della discussione con gli Stati Uniti quello stesso piano americano (o meglio: russo-americano), con l'obiettivo di correggerlo almeno nei punti più inaccettabili: la pretesa cessione alla Russia di territori ucraini tuttora controllati da Kiev, l'imposizione di una riduzione delle dimensioni dell'esercito ucraino, l'indicazione del russo come seconda lingua ufficiale dell'Ucraina, l'impegno di Kiev a rinunciare all'adesione alla Nato.
Più in generale, lo sforzo europeo mira a garantire le condizioni per l'effettiva sopravvivenza di un'Ucraina indipendente dopo un eventuale accordo di pace con Mosca. Laddove indipendente significa in grado di: difendersi da future aggressioni, scegliere la propria collocazione internazionale senza dover subire l'inserimento a forza in una zona d'influenza russa che il popolo ucraino assolutamente respinge, conservare la propria identità culturale e nazionale oltre a un'indipendenza economica.
Tutti punti che per Putin sono (e ieri lo ha detto esplicitamente) inaccettabili. Il piano che aveva elaborato d'intesa con l'inviato di Trump, Steve Witkoff, va esattamente in direzione opposta: indebolire di fatto l'Ucraina fino a non poter contare su un proprio futuro da Paese libero, ma piuttosto ridursi a una sorta di nuova Bielorussia, che di Putin è vassalla in tutto e per tutto.
A questo punto, tutto dipenderà più dalle decisioni di Trump che da quelle degli europei, pur molto importanti. Il "niet" del Cremlino, anche se mascherato da una finta disponibilità a sedersi allo stesso tavolo con gli europei, fa ricominciare la partita dalla casella zero. E qui le possibilità pur con numerose sfumature che qui non c'è spazio per ricordare - sono sostanzialmente due: o Trump insiste con Putin per ottenerne l'assenso a qualche correzione del suo (loro) piano che soddisfi Europa e Ucraina, oppure rovescia il tavolo accusando Londra, Parigi, Berlino e Kiev di boicottare i suoi sforzi per la pace e annuncia la fine del suo sostegno all'Ucraina.
Nella prima ipotesi, il negoziato potrà continuare, ma ben più a lungo delle pretese di Trump, e con esso il conflitto. Nella seconda, il ruolo europeo prenderà le forme di una sfida necessaria ma estremamente impegnativa. Il peso del sostegno economico, ma soprattutto militare, all'Ucraina combattente ricadrebbe pressoché interamente sulle nostre spalle. Si aprirebbe anche un problema politico all'interno dell'Europa, perché in una situazione di massimo stress, e di fronte a perplessità nelle opinioni pubbliche che certamente Putin e i suoi alleati europei alimenterebbero, verrebbero alla luce fratture anche in governi che fino a oggi si sono impegnati risolutamente al fianco di Kiev.