Revolut si "autovaluta" 65 miliardi

Scritto il 25/11/2025
da Camilla Conti

Vendita di azioni, anche i dipendenti fanno cassa. Si stringe l'asse con Nvidia

Revolut ha completato un'altra vendita di azioni che ha fatto schizzare la sua valutazione aziendale a 75 miliardi di dollari, ovvero circa 65 miliardi di euro. Per fare un paragone con le banche tradizionali, Intesa Sanpaolo oggi capitalizza 95 miliardi e Unicredit poco meno di 96 miliardi. Ma le due big italiane del credito sono quotate in Borsa, mentre quella di Revolut è una autovalutazione definita anche grazie al fatto che ai dipendenti attuali è stata data l'opportunità di vendere i propri titoli. Finora è successo già in ben cinque occasioni, gestendo uno dei programmi di azionariato per dipendenti con la più alta liquidità tra le aziende private del settore.

L'operazione annunciata ieri - spiega in una nota dell'azienda fintech basata nel Regno Unito - ha comunque coinvolto un gruppo di investitori internazionali guidati da Coatue, Greenoaks, Dragoneer e Fidelity, con la partecipazione di nomi di primo piano del venture capital globale come Andreessen Horowitz (noto anche come a16z), Franklin Templeton e T. Rowe Price. La vendita ha incluso anche l'investimento di NVentures, la divisione di capitale di rischio di Nvidia, così rafforzando la collaborazione di Revolut con il colosso dei chip in aree chiave, tra cui l'intelligenza artificiale.

Il fatturato di Revolut nel 2024 è cresciuto del 72%, raggiungendo 4 miliardi di dollari, con un utile ante imposte in aumento del 149%, attestandosi a 1,4 miliardi. La tendenza è proseguita nel 2025, con la base clienti retail globale che ha superato quota 65 milioni e Revolut Business che ha raggiunto un fatturato annualizzato di 1 miliardo. Nel 2025, Revolut ha inoltre ottenuto l'autorizzazione bancaria finale, la licenza bancaria in Colombia e l'imminente lancio in Messico e India. Nata solo come un'app finanziaria, sta dunque divorando spazio senza però il peso del costo degli sportelli fisici e dei relativi dipendenti, quindi con costi assai più bassi dell'attività bancaria tradizionale. La spesa si concentra sulla tecnologia e su marketing e pubblicità che, secondo un recente report di Ubs, vale per Revolut quasi il 15% dei ricavi di un anno. Va peraltro precisato che per l'Europa vanta una licenza bancaria lituana, e che perciò non sempre i depositi presso l'istituto sono protetti allo stesso modo (varia per Paese), mentre le banche italiane garantiscono pienamente il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi. Non solo. La Bce ha definito nei giorni scorsi i requisiti di capitale 2026 di ogni banca europea (Pillar 2 Requirements o P2R), fissati in base ai rischi che non sono coperti dalle richieste patrimoniali obbligatorie per tutti (Pillar 1). In sintesi, più basso è il requisito, minori sono i pericoli individuati da Francoforte. I dati mostrano che le banche italiane in media sono considerate poco rischiose (per fare qualche esempio Intesa Sanpaolo vanta un requisito dell'1,25%, Banca Mediolanum dell'1,50%, Unicredit e FinecoBank del 2%). Tra le maggiori banche europee, sono rimaste sotto il 2% Bbva, Ing, Bnp Paribas, Santander e Credit Agricole. Sopra questa soglia invece Commerzbank, SocGen e Deutsche Bank. Ma il valore in assoluto più alto è stato definito per Revolut, a cui è stato richiesto il 4,5% di capitale aggiuntivo. Sul dato la società ha spiegato che «il requisito Pillar 2 riflette il nostro modello di business unico» che «si concentra su un'elevata quota di ricavi da commissioni e un portafoglio di crediti di piccole dimensioni».