Detenuto non può partecipare al funerale del nipote. Non c'è prova che gli volesse bene

Scritto il 18/09/2025
da agi

AGI - "Manca la documentazione che attesti la parentela tra detenuto e defunto e l'effettiva esistenza di una relazione affettiva e continuativa tra i due". Il Tribunale della Sorveglianza di Milano ha respinto con questa motivazione nei giorni scorsi la richiesta di un recluso nel carcere di Bollate di recarsi a Cassano d'Adda per partecipare al funerale del nipote 40enne, figlio della sorella, morto all'improvviso per un infarto.

"Una motivazione incomprensibile. Ci vogliono dei documenti per dimostrare che zio e nipote si volevano bene? Il magistrato aveva il potere di accertare in pochissimo tempo la parentela che basta anche per far presumere il rapporto affettivo" commenta il legale dell'uomo, l'avvocato Gianpiero Verrengia, che ricostruisce all'AGI le tappe della vicenda sottolineando che il suo assistito "gravemente cardiopatico, non ha mai ricevuto rilievi disciplinari in carcere ed è a Bollate per reati comuni".

Le concitate ore precedenti al funerale

Il legale torna a quelle ore concitate. "La madre mi fa pervenire una dichiarazione in cui indica il rapporto di parentela, allega un referto per dimostrare la morte di suo figlio, indica ora e luogo in cui si trovava la salma, ora e luogo del funerale, cioè il 12 settembre a Cassano d'Adda, una trentina di chilometri da Bollate. Inoltro tutto all'Ufficio di Sorveglianza di Milano e vengo a sapere che il detenuto si è attivato anche da solo, presentando una sua istanza. Devo sottolineare che sia il personale della cancelleria sia quello dell'istituto di pena si sono comportati con umanità".

Il funerale è fissato alle ore 15, il feretro verrà sigillato alle 14 e il permesso non arriva. "Si avvicina l'ora e vengo a sapere che il permesso è stato rigettato, con la seguente motivazione: mancano i documenti che proverebbero il rapporto di parentela tra defunto e detenuto; mancano le prove che defunto e detenuto avessero una relazione affettiva continuativa. Rimango incredulo, come essere umano prima che avvocato". Quando comunica la decisione ai familiari, la loro reazione è disperata. Decidono comunque, nonostante i tempi siano strettissimi, di lasciare la salma, rinunciando alle ultime ore con la persona cara, per andare in Comune a supplicare di dargli i documenti che provino la parentela.

"Anche in Comune umanità e disponibilità prendono subito il loro posto, i documenti vengono rilasciati e ripresento tutto, segnalando che esiste un rapporto affettivo, trattandosi di soggetto autorizzato a colloquio" prosegue Verrengia. "Ovviamente il magistrato di sorveglianza, a differenza dell'avvocato o del familiare di un detenuto nel mezzo di un funerale, avrebbe avuto tutti i poteri istruttori che può esercitare senza formalità e con massima urgenza per togliersi subito ogni dubbio".

La reazione e la dignità negata

Alla fine, dunque, il permesso non è arrivato. "Erano parenti e si volevano bene. A una persona detenuta è stato negato di poter vivere un momento di lutto in modo degno di un essere umano, cioè essere presente qualche minuto per l'ultimo saluto, stando accanto alla salma del nipote, anche dare un abbraccio agli altri congiunti - è la considerazione del legale -. Ma in fondo si tratta solo di un detenuto, è colpa sua se sta in carcere, quanta gente ancora vuole disturbare, quante volte abbiamo sentito queste storie, è andata così. Magari chiederà un permesso più avanti quando avrà raccolto le prove. Magari, ma in genere i morti non tornano per farsi salutare".